A partire dalla metà del Novecento la psicosomatica si è imposta, come scopo principale, quello di individuare delle caratteristiche psicologiche specifiche che potessero essere considerate come veri e propri fattori di rischio nei confronti delle malattie.
A questo tipo di personalità si contrappone la “Personalità di tipo B”, alla quale appartengono individui tendenzialmente più sereni e rilassati: essi percepiscono il risultato del loro lavoro come appagamento, ricevendone emozioni positive. Sembrano proprio l’immagine speculare dei tipi A, ma non per questo si tratta di persone meno sveglie e produttive: sono semplicemente caratterizzate da meno eccessi, minore tensione e, invece, più pacatezza nell’adattamento alle esigenze dell’ambiente.
In realtà, si è visto che le persone che s’incontrano nella pratica clinica sono perlopiù delle forme intermedie. Allora, piuttosto che cercare d’individuare una o più “personalità a rischio”, gli studiosi hanno cercato di enucleare quelle dimensioni psicologiche che più si associano alla “iperattivazione” della persona, e si è riscontrato che l’ostilità è la componente che più caratterizza il tipo A:
- un’ostilità che viene in luce nelle situazioni di frustrazione, in cui il soggetto ha la sensazione di non riuscire ad avere il controllo che vorrebbe, sia sulle proprie azioni sia sull’ambiente che lo circonda.
PERSONALITA DI TIPO C. Negli anni ’80 alcuni studi hanno mostrato l’emergere, ora più netto ora più sfumato, di alcune caratteristiche di personalità ricorrenti, che hanno portato all’elaborazione di un modello di personalità definito di “Tipo C” o “Cancer-prone personality”. Si caratterizza da una tendenza comportamentale caratterizzata da un insieme specifico di atteggiamenti (accondiscendenza, conformismo, passività, scarsa assertività), tratti emozionali (tendenza a reprimere le emozioni: in particolare, rabbia e aggressività) e “locus of control” esterno (Phares 1957). La continua repressione emotiva si tradurrebbe, in questi soggetti, in un’iperattivazione ripetuta del sistema neurovegetativo che, a lungo termine, porterebbe alla compromissione dell’efficienza della risposta immunitaria.