Mi scrive un padre “arrabbiato, deluso e rassegnato...”, con se stesso, col governo e con i suoi conterranei, per non aver potuto “evitare”l'emigrazione del figlio verso uno Stato estero, in cerca di lavoro e fortuna.
Il signore mi illustra una crisi personale e matrimoniale, che secondo lui derivano principalmente dai suoi sensi di colpa e dal non accettare che il figlio sia "costretto" a vivere lontano dalla famiglia e dagli amici, a soli venticinque anni.
In più di dieci anni passati fuori dalla Sardegna( per lavoro e per studio), ho conosciuto direttamente l'altra parte in causa di cui parla il lettore.
Centinaia di ragazzi e ragazze che ogni anno partono dalla Sardegna, per periodi più o meno lunghi per guadagnare uno stipendio impossibile da equiparare alla maggior parte degli stipendi medi isolani; altre centinaia partono per frequentare indirizzi di studio o facoltà non presenti nei nostri Atenei Sardi, altri partono perchè in mancanza di titoli o competenze, lavoro e possibilità di crescita, l'unica soluzione possibile di sopravvivenza la si cerca al di là del mare!
Ancora una volta sono le Emozioni a regolare la nostra volontà: quando si parte per la prima volta, carichi di speranze, non si sa bene cosa ci aspetterà; molti partono per formarsi e poi riportare in Patria le conoscenze/competenze acquisite; altri si stabiliscono in quelle Regioni dove hanno trovato fortuna, altri torneranno sporadicamente, combattuti tra la nostalgia dei ricordi e la consapevolezza che non si poteva fare diversamente. Si parte per cambiare, per conoscere, per realizzarsi. Si pensa ogni giorno alla propria terra, si fanno confronti, e nella maggior parte dei casi vince sempre orgogliosamente la nostra Sardegna.
Chi invece subisce questa migrazione(come il lettore), si sente depauperato da ciò che di più importante ha al mondo: i figli tanto voluti, desiderati, cresciuti, educati, quei figli che abbiamo cullato per mesi, anni; quei figli che non pensi mai di dover lasciare; quei figli che vorresti vedere felici tutti i giorni; quei figli che non seguono le nostre orme.. quei figli che partono in luoghi lontani, mentre tu a casa ti chiedi cosa staranno facendo e se stanno bene.
Un percorso psicologico potrebbe aiutarla a ritrovare la serenità e riappropriarsi della sua vita.
Ora vede tutto nero, tutto in salita, tutto triste.
Siamo però nel 2015: compagnie aeree low-cost, skype, chat e altre nuove tecnologie, permettono di non stare più di qualche giorno senza che i genitori possano sentire i figli o viceversa.
Lei dovrebbe reagire con gioia, orgoglio e empatia; può chiedere sostegno a uno psicologo per rimodulare il suo nuovo ruolo di genitore distante ma presente.
Quando si è lontani tutto appare diverso: si edulcora la realtà per non far preoccupare i propri cari; se lei aggiunge dolore e preoccupazione a questa distanza, con che stato d'animo suo figlio potrà cercare di realizzare i suoi sogni? Provi a trovare i lati positivi della sua situazione: suo figlio è partito per migliorarsi, non è in guerra!
Deve incoraggiarlo, deve ascoltare i suoi racconti, dovrebbe contenere le sue paure e mitigare i suoi eventuali fallimenti, proprio come se l'avesse affianco e non dietro uno schermo.
Starà facendo nuove esperienze, imparando una nuova lingua, una nuova cultura, starà mettendo in pratica gli insegnamenti appresi da voi genitori. Ha una moglie e altri figli, quindi non stiamo parlando certo di sindrome del nido vuoto; si faccia forza, sia orgoglioso di non aver scritto per lamentarsi di un figlio bamboccione a carico!